Andrea Aguyar, il Moro di Garibaldi
Tra
gli eroi caduti nel 1849 nella strenua difesa della Repubblica
Romana contro i francesi del generale Oudinot, spicca una figura
alquanto singolare; è Andrea Aguyar, il moro di Garibaldi. Non
cercatene l’immagine tra i busti del Gianicolo, perché non c’è. Ben
poche tracce restano del suo passaggio, breve ma significativo,
nella Città Eterna: il suo nome figura nell’elenco dei patrioti
sepolti nell’ossuario garibaldino e gli è dedicata la rampa che
collega Monteverde con viale Trastevere, la scalea Andrea il Moro.
Era nato a Montevideo da genitori africani
schiavi come lui. Era stato liberato con la proclamazione della
repubblica uruguayana e da allora non aveva voluto più lasciare
Garibaldi, che lo nominò luogotenente del suo Stato Maggiore. Andrea
non sapeva scrivere, ma montava a cavallo come pochi e lasciava
tutti senza parole quando faceva roteare in aria il lazo con cui
riprendeva, come un gaucho, i cavalli disarcionati che fuggivano
nella battaglia. Il suo aspetto erculeo lo faceva sembrare un
principe di ebano, con denti bianchissimi che scopriva ridendo. Era
sempre avvolto in un gran mantello nero e armato di lancia con una
banderuola rossa.Quando Garibaldi si fermava a riposare, Andrea
toglieva la sella al suo cavallo, che trasformava in un letto per
l’Eroe, posto sotto una tenda improvvisata piantando in terra la sua
spada e la sua lancia e gettandovi sopra il mantello. Non conosceva
la paura e più di una volta salvò la vita a Garibaldi. Solo in
un’occasione forse il suo coraggio non sarebbe bastato a difendere
l’eroe. Nella battaglia di Velletri, Garibaldi dominava il
combattimento dall’alto di una vigna, quando si accorse che i suoi
lancieri, spaventati, perdevano terreno. Scese precipitosamente a
cavallo dalla collina per andare a rincuorarli, seguito da Aguyar,
ma il suo cavallo inciampò, lo sbalzò di sella e gli rovinò sopra,
intrappolandolo. Fu un attimo: molti soldati borboni accorsero per
farlo prigioniero, ma dalle siepi uscì una nuvola di quei ragazzini
tra i dodici e i sedici anni che formavano la cosiddetta brigata dei
monelli. Tutti insieme, come indiavolati, si gettarono sui soldati e
maneggiando abilmente le loro baionette, li costrinsero alla fuga.
Quattro giorni dopo
l’arrivo di Anita a Roma, Andrea fu colpito da una bomba nei pressi
di Santa Maria in Trastevere. Grondando sangue, riuscì a gridare:
"Viva le repubbliche d’America e di Roma!" Fu portato nella vicina
Santa Maria della Scala, a quel tempo adibita a ospedale, dove
spirò.
di Cinzia Dal Maso |